Tempo fa scrissi una recensione sul libro “La sculacciata”, di Olivier Maurel.
Nelle riflessioni e nei confronti precedenti quell’articolo, mi capitò una chiacchierata con una mamma, che si disse contraria all’uso della violenza sui bambini, tranne che per una situazione: quella in cui il bambino sfida l’adulto.
“Si scrive relazioni, si legge politica”: ancora una volta.
Abbiamo spesso parlato del fatto che la relazione genitoriale è, a tutti gli effetti, una relazione. Vediamo allora quanto un modello servo-padrone possa inserirsi nel rapporto con un figlio.
Sentiamo spesso addurre a pratiche educative motivazioni del tipo “Se non faccio così, si approfitta!”, “Deve capire che se dico no, è no!”, “Non può parlare così a un adulto”. In altre parole: il bambino deve capire chi è che comanda. Perché c’è uno che comanda, e uno che deve necessariamente obbedire. Può obbedire volenterosamente, ed essere un bravo bambino, o tentare di disobbedire, e comportarsi da cattivo. In ogni caso, il bambino incamera uno schema gerarchico all’interno del quale, successivamente, collocherà le sue relazioni, e che ostacolerà una concezione paritaria con gli altri; se la relazione è una questione di potere, allora è impossibile usarla per riconoscersi nell’altro. Posso usarla solo per sottomettermi, o impormi, all’altro.
Dall’altra parte della barricata ci sono quei genitori che, invece, sono così attenti a dare il giusto spazio ai propri figli, da non averne più uno proprio: “In casa comandano i miei figli!”, “Non mi sono asciugato i capelli, perché il bambino voleva giocare”. Apparentemente sembrano il contrario dei genitori di prima, ma il modello è lo stesso: c’è sempre qualcuno che comanda. Solo che stavolta è il bambino. Che incamera comunque uno schema gerarchico, e ci collocherà comunque le sue relazioni. E, ancora una volta, dovrà scegliere se essere servo o padrone, se sopraffare o inchinarsi.
E’ possibile uscire da questo meccanismo? Certo, e il bambino, una volta cresciuto, potrà fare scelte diverse, usando tutti i modelli e le esperienze che gli sono capitate nella vita.
Ma, ancora prima, può fare qualcosa il genitore: può abbandonare il modello gerarchico della sua relazione con il figlio, e provare a costruire una relazione in cui entrambe le parti hanno pari dignità, e in cui i bisogni di tutti vengono rispettati.
Difficile? Si, è sempre difficile mettersi in discussione e abbandonare uno schema che ci accompagna da tutta la vita. Ma potrebbe valerne la pena.
E voi cosa ne pensate? Pensate sia possibile costruire una relazione in cui le parti hanno pari diritti con un figlio? Lasciate un commento.
